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IL MESE DELLE MEMORIE 2020
Categories: CinemAnemico, eventi, General

Venerdì 3 gennaio 21.30

Europa Europa

Un film di Agnieszka Holland. Con Delphine Forest, Marco Hofschsneider, Renè Hofschneider, Julie Delpy, Halina Labonarska, Piotr Kozlowski, André Wilms, Martin Maria Blau, Ashley Wanninger, Michèle Gleizer, Solomón Perel, Klaus Abramowsky, Marta Sandrowicz, Andrzej Mastalerz, Wlodzimierz Press, Klaus Kowatsch, Holger Hunkel, Bernhard Howe, Hanns Zichler, Jorg Schnass, Norbert Schwarz, Eric Schwarz, Wolfgang Bathke, Aleksy Awdiejew.  Drammatico, durata 111 min. – Francia, Germania 1991. Tedesco, russo, polacco, ebraico, sottotitolato in italiano.

Dal libro “Memorie” di Salomon Perel, l’odissea di un giovane ebreo che tenta di sfuggire ai nazisti fingendosi ariano.

 

Alla fine degli anni ’30 cominciano gli atti di violenza contro gli ebrei nella Germania nazista. Il giovane Solomon e il fratello vengono mandati all’est dalla famiglia perché possano avere un futuro migliore. Approdato in Russia e addestrato al comunismo, Solomon ritroverà i tedeschi quando questi arriveranno con le truppe d’occupazione. Riuscirà a salvarsi spacciandosi come puro tedesco orfano ma sarà solo l’inizio di un’interminabile lotta per non farsi scoprire.

Mi è piaciuto molto questo film in cui Agneszka Holland affronta un tema che è stato trattato tantissime volte. La visione della Holland però mette quasi sullo sfondo la Shoah per entrare nell’intimo del protagonista, nella sua capacità di resilienza che lo porta a trovare continuamente nuove strategie per salvarsi. Il prezzo che paga è la solitudine; perde, per diversi motivi, tutte le persone a cui si lega, e solo continua ad andare avanti tra mille difficoltà. Se apparentemente sembra poco etico il suo continuo cambiare popolo e religione di appartenenza è chiaro come i suoi valori rimangono intatti e che la necessità è il propulsore che lo porta a cambiare e a salvarsi. Più che il dramma di un ebreo perseguitato il racconto diventa il tentativo di andare avanti tra le gioie e i dolori di un ragazzo che vuole vivere, e che finisce per rappresentare emblematicamente la battaglia di ogni essere umano.

(tratto da filmtv, recensione di Stefano Capasso)

 

Venerdì 10 gennaio 21.30

Korczak

Un film di Andrzej Wajda. Con Wojciech Pszoniak, Ewa Dalkowska, Teresa Budzisz-Krzyzanowska. Drammatico, b/n durata 110 min. – Polonia, Germania, Regno Unito 1990.

Polacco, tedesco, sottotitolato in italiano.

 

Un lucido affresco dell’Olocausto.

 

Ciò che salta immediatamente all’occhio, a partire dai primi fotogrammi, è la scelta di girare l’intero film in bianco e nero. Apparentemente, questa scelta tecnica sembrerebbe smorzare i toni del racconto, lasciando le scene della miseria del ghetto di Varsavia e di violenza sfumare nel grigio. In realtà, a uno sguardo più attento, l’effetto potrebbe sembrare invece quello di accentare ancora di più la concretezza storica degli eventi, come in un documentario dell’epoca. Non a caso infatti, è presente un momento di “cinema nel cinema”: vengono mostrati dei soldati tedeschi mentre riprendono scene di ordinaria devastazione per le strade del ghetto.

L’inizio del film è di per sé profetico, una delle prime battute del dottore riguarda il tema del sacrificio. Dice che per lui impegnarsi con i bambini non è un sacrificio, anzi, lo fa in primis per se stesso, e ammonisce di guardarsi bene da chi lo intende come tale, definendoli degli ipocriti.

A rendere la bellezza di questo film hanno contribuito anche altri due nomi importanti nel panorama del cinema polacco. A firmare la sceneggiatura è Agnieszka Holland, mentre le musiche sono di Wojciech Kilar (compositore spesso presente nei lavori di Krzysztof Zanussi). La sua marcia finale, su cui i bambini camminano guidati da Korczak, rende più di qualsiasi parola.

 Il finale immaginario del film aveva creato a suo tempo alcune polemiche, a causa della scelta di rappresentare Korczak e la schiera di bambini che scendono dal vagone del treno per correre gioiosamente in libertà su verdi prati. “La morte è tanto facile, la vita invece è tanto complicata” dice il dottore in una battuta, lasciandoci la sua battaglia come esempio per affrontare le complicazioni della vita.

(tratto da Polinicult.com, recensione di Elettra Sofia Mauri)

 

Venerdì 17 gennaio 21.30

Pasazerska

Un film di Andrzej Munk. Con Aleksandra Slaska, Anna Ciepielewska, Jan Krezmar. Drammatico, b/n durata 62 min. – Polonia 1961.

Polacco, sottotitolato in italiano.

 

Echi di un passato da dimenticare

 

Su una crociera in rotta verso Amburgo, alla passeggera Liza, che fu kapò ad Auschwitz, sembra di riconoscere in un’altra viaggiatrice una delle sue prigioniere, per la quale aveva un debole e che trattava con riguardo. Liza ne parla con il marito e rievoca quei momenti.

 Non si può non riferire di un grande capolavoro come La passeggera di Andrzej Munk, il film che, come noto, non fu terminato per la morte improvvisa del regista in un incidente automobilistico. E che fu poi ricostruito dagli stessi collaboratori stretti del regista, raccordando il girato con immagini fisse di scena, e una voce off narrativa e didascalica, in modo da dare un’idea della parte mancante, quella della crociera, in un film costruito su un doppio binario temporale, il presente, gli anni Sessanta, la nave, e il passato, il campo di concentramento di Auschwitz. E l’incipit del film è costituito da un fotogramma di Munk, mentre la voce off lo commemora e spiega il senso dell’operazione. Un’operazione estremamente rispettosa del grande autore scomparso, che non si permette di aggiungere sequenze spurie, che trasmette fedelmente la concezione dell’opera del regista, mantenendo aperte le domande insolute, senza il minimo azzardo interpretativo.

 Già in sé il film rappresenta una delle riflessioni più acute sull’Olocausto, rifuggendo, a soli vent’anni di distanza dai fatti, da un manicheismo che dovrebbe essere inevitabile per una tragedia di immani proporzioni come quella. Munk scava, analizza il rapporto tra vittima e carnefice e si permette di assumere il punto di vista del secondo. Per suggerire non già la banalità del male, ma il fatto che anche gli aguzzini potevano far parte, loro malgrado, di una tragedia più ampia.

Basterebbe questo per affermare che La passeggera sia un film di grande importanza nonostante la sua incompiutezza e l’edizione mutilata. In realtà la confezione che è stata data al film ne aumenta la suggestione, amplifica la portata morale dell’opera e la apre a ulteriori dimensioni. Si tratta di un film che è al contempo documentario di se stesso.

 (tratto da Quinlan.it, recensione di Giampiero Raganelli)

Venerdì 24 gennaio 21.30

Wolyn

 

Un film di Wojciech Smarzowski. Con Michalina Labacz, Arkadiusz Jakubik, Wasyl Wasylik, Adrian Zaremba, Izabela Kuna. Drammatico – Polonia, 2016, durata 150 minuti. – Polacco, ucraino, sottotitolato in italiano.

 Un amore controverso.

 1939, un villaggio nella Volinia sudoccidentale, una ragazza polacca Zosia Głowacka innamorata di un coetaneo ucraino, il padre che vuole sposarla al ricco, vedovo con due figli e polacco Maciej. La pulizia etnica è della partita, anzi, è la partita: la Volinia fu prima occupata dai russi nel ’39, indi dai tedeschi nel ’41, l’esercito insurrezionale ucraino (UPA) massacrò tra Volinia e Galizia Orientale 100mila polacchi, i polacchi risposero uccidendo 10-12mila ucraini, di cui tra i 3 e 5mila nelle sole Volinia e Galizia. Smarzowski ha messo la camera nella piaga.

“Non posso nascondere la verità sotto il tappeto”, aveva dichiarato il regista, precisando come Hatred si indirizzi “contro il nazionalismo estremo”,

Il regista Wojciech Smarzowski, già in altre pellicole aveva ripercorso con la macchina da presa i duri e difficili eventi occorsi alla sua nazione negli anni passati. In questa occasione vengono ripercorsi gli eccidi nella regione ricordata dal titolo, verificatisi dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale in avanti, ricucendo molte testimonianze di atrocità nella storia di Zosia e della sua famiglia.

Un film dove le scene dure e atroci non mancano. In Wolyn viene narrato uno scontro fra comunità dove si vive nella minaccia continua, dove il vicino ammazza il vicino, a volte ci si uccide nella stessa famiglia, i villaggi vengono annientati sterminando la popolazione a colpi di forcone e di ascia, bruciando vivi i paesani nei fienili, uccidendo donne e bambini all’arma bianca.

(tratto da cinematografo.it e mondifantastici.blogspot.org)

Venerdì 31 gennaio 21.30

Voyna Anny

Un film di Aleksei Fedorchenko. Con Marta Kozlova, Lyubov Vorozhtsova, Vladimir Sapin. Drammatico – Russia, 2018, durata 75 min. – Russo,  sottotitolato in italiano.

Se questa è una bambina

 

Anna’s War racconta l’epopea di una bambina ebrea che, dopo esser sopravvissuta all’uccisione dell’intera sua famiglia, grazie al sacrificio di sua madre, che postasi davanti a lei è diventata scudo umano, si nasconde all’interno del camino dell’ufficio di un comandante nazista.

 Interpretato completamente dalla piccola attrice Marta Kuzlova, Anna’s War segue le sofferenze e la prigionia di Anna, costretta a nascondersi per non essere catturata dagli inquilini dell’edificio. La commovente interpretazione della protagonista costruisce un film in grado di smuovere l’animo dello spettatore schiaffeggiandolo con violenza. Il lungometraggio, che fa dei suoi silenzi uno dei suoi grandi punti di forza, è la perfetta metafora del non arrendersi al nemico, anche quando si è letteralmente nella pancia della bestia. Anna, silenziosa e affamata, conosce la gente da cui si sta nascondendo e proprio per questo impara pian piano a muoversi nel buio della notte, fantasma invisibile che vaga tra le stanze di un edificio semi vuoto e decadente.

 Come un gatto in solitaria, anche Anna trova pian piano il modo per nutrirsi e assolvere alle primarie attività del cercare riparo dal freddo. La semplicità registica si fonde quindi con una scrittura essenziale ma potente ed autentica in grado di colpire al cuore di chi guarda sin dalla prima sequenza.

(tratto da cinematographe.it, recensione di Chiara Caroli)

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