cdpsettignano
Via San Romano 1 Firenze
PROVE DI REGIME…
Categories: CinemAnemico, eventi, General

Die Welle

S’intitola L’Onda, ma non parla di studenti e rivolta. Racconta piuttosto il contrario, le conseguenze di una deliberata estrema obbedienza di un gruppo di ragazzi al loro professore. E’ una storia vera che ha ispirato un libro di successo e ora un film tedesco in concorso al Festival di Torino: Die WelleL’Onda.

La trama è fedelissima al fatto reale, l’esperimento ideato dal professor Ron Jones nel liceo Cubberley di Palo Alto, California, nel 1967. Lo scopo era di capire come si diventa nazisti. «La domanda degli studenti è stata: come ha potuto il popolo tedesco tollerare, anzi aderire in massa al totalitarismo, accettare i campi di sterminio, obbedire ciecamente a Hitler?» scrive Jones nel suo diario.

La lezione di storia naturale si rivela inadeguata. Gli studenti prendono un’aria annoiata, del genere: «Ok, abbiamo capito, oggi da noi non potrebbe succedere». Il professore allora propone un esperimento. Per qualche giorno i ragazzi dovranno sottomettersi alla sua autorità, chiamarlo «signor professore» e seguire le lezioni con la testa dritta e il petto all’infuori. La risposta degli studenti è dapprima divertita, poi entusiasta. Sono loro stessi a proporre i sistemi per rendere compatto e disciplinato il gruppo. Si danno un nome, l’Onda con un logoe un saluto: una mano tesa all’altezza del cuore.

Quindi una divisa, jeans e camicia bianca, per diventare tutti uguali. Si alzano in piedi all’ingresso del signor professore, compiono esercizi ginnici, urlano slogan ad alta voce: «La forza è nella comunità». Il professor Jones è stupito del suo successo e anche affascinato.

Confida alla moglie: «In un certo senso, ho scoperto un metodo di insegnamento che funziona. I ragazzi imparano in fretta e alla grande. E’ assurdo, ma prima non avevano neppure posti fissi in classe, e ora che non c’è più libertà stanno seduti ai loro posti, rispondono a tutte le domande e si aiutano a vicenda». Dopo i primi giorni, compaiono alcuni effetti collaterali. Gli studenti isolano e denunciano i compagni che esprimono dubbi. Gli alunni delle altre classi si dividono, alcuni chiedono di far parte dell’Onda, altri sono disgustati e reclamano la fine dell’esperimento.

Scoppiano le prime violenze. Un mattino Jones viene affiancato da un suo studente che si qualifica come guardia del corpo. Capisce che l’esperimento gli è completamente sfuggito di mano, ha creato un nucleo perfetto di nazisti, ma è troppo tardi. Si corre verso l’epilogo, dal gioco al massacro.

La storia vera racchiusa nel diario di Ron Jones, il bel libro di Morton Ruhe (“Die Welle“) divenuto un classico della letteratura per ragazzi, e il notevole film di Dennis Ganselpresentato a Torino, hanno in comune una doppia lettura. Una antropologica, il bisogno primordiale della scimmia umana di sottoporsi al comando di un capo. Un bisogno tanto più emergente nell’età della crisi, nell’adolescenza in cui non si sa chi si è e quindi si può diventare qualsiasi cosa.

L’altra lettura è l’attualità. A metà dell’esperimento il professore il protagonista del film, ambientato nella Germania di oggi, scrive sulla lavagna, sotto dettatura degli studenti, l’elenco delle cause che possono portare a un regime. Nell’ordine: la globalizzazione, la crisi economica, la disoccupazione, l’aumento dell’ingiustizia sociale, la manipolazione dei mezzi di informazione, la delusione della politica democratica, il ritorno del nazionalismo e la xenofobia. Sono le sementi che negli anni Venti hanno fecondato il terreno del fascismo e del nazismo in Europa. Sono gli stessi problemi, qui e ora.

All’uscita in Germania, nella primavera scorsa, Die Welle ha scatenato un prevedibile fiume di polemiche. “Der Spiegel” l’ha definito uno dei film più importanti degli ultimi anni, perché racconta l’eterno fascino del totalitarismo. Un fascino reale e in definitiva anche semplice da capire, quasi naturale, per quanto negato da un eccesso di politicamente corretto. “Die Welt” ha opposto l’opinione che i meccanismi totalitari, così inesorabili sulla pellicola, troverebbero oggi enormi resistenze nella realtà. Una parte della stampa ha mosso un’obiezione etica: i giovani neonazisti dell’Onda, nel loro solidarismo, possono risultare al pubblico delle sale assai più simpatici e normali degli studenti anarcoidi degli altri corsi.

L’obiezione sarebbe giustificata, se non fosse che nella realtà funziona quasi sempre così. Fra molte brave persone del Nord, per rimanere dalle nostre parti, i protagonisti delle ronde padane risultano assai più vicini degli intellettualoidi difensori di Rom e immigrati. Ron Jones, la cui vita è stata sconvolta per sempre dal gioco dell’Onda, ha scritto: «L’esperimento ha funzionato perché molti di quei ragazzi erano smarriti, non avevano una famiglia, non avevano una comunità, non avevano un senso di appartenenza. E a un certo punto è arrivato qualcuno a dirgli: io posso darvi tutto questo».

di Curzio Maltese (la Repubblica, 24.11.2008)

Das Experiment

Il film riprende il famoso esperimento condotto alla Stanford University da Zimbardo, conosciuto come “Effetto Lucifero”. L’esperimento ricrea artificialmente le stesse condizioni ambientali di una prigione. Come nel film, nel 1971 si dovette interrompere l’esperimento in quan­to si verificarono le stesse dinamiche violente di un carcere. Di recente, i famosi avvenimenti di Abu Ghraib, dove sono stati torturati prigionie­ri iracheni da parte dei soldati occupanti americani, ha nuovamente acce­so il dibattito intorno all’esperimento.

Gli attori iniziano a recitare il proprio ruolo per gioco, ma ben presto si calano nella parte e riproducono le dinamiche classiche di un’istituzio­ne totale. Nel film, così come nell’esperimento alla Stanford University, ci troviamo in una prigione, ma potremmo trovarci in un manicomio.

Il regime chiuso, formalmente amministrato ingloba e assimila in un processo di socializzazione che viene continuamente testato sull’obbe­dienza e la trasgressione, facendo seguire premi e punizioni a seconda dei comportamenti dei controllati. Del resto i carcerieri sono chiamati a far rispettare le regole e l’ordine. Le imposizioni spezzano il potere che i dete­nuti hanno sul mondo: autodeterminazione e libertà lasciano il posto a mortificazioni e restringimento del sé. Le due sub culture carcerarie, quel­la degli internati e quella dei custodi, si confrontano in una escalation che conduce ad agire comportamenti violenti disumani e disumanizzanti.
Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2014/09/the-experiment-das-experiment-2001-cinema-psicoterapia/

I contenuti del film mostrano in modo crudo quanto il contesto sia influente in relazione all’interazione sociale e ai ruoli che ognuno è chia­mato a interpretare. I caratteri di stato della personalità possono essere influenzati in maniera da determinare un repentino mutamento del sen­tire e percepire il mondo, se stessi e gli altri in termini regressivi.

Umiliazioni, degradazioni, spersonalizzazione, perdita di identità in contesti simili, segnano il tempo e lo spazio di vita sollecitando uno sforzo incessante per mantenere dignità e improvvisarsi virtuosi della sopravvivenza. L’organizzazione delle strutture sanitarie residenziali e semiresidenziali dedicate ai malati di mente non può prescindere da quanto emerge da queste risultanze per rispettare il principio dell’uma­nizzazione della cura e della riabilitazione.
Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2014/09/the-experiment-das-experiment-2001-cinema-psicoterapia/

Comments are closed.