Venerdì 4 novembre 21.30
Mandariinid
Un film di Zaza Urushadze. Con Misha Meskhi, Giorgi Nakashidze, Elmo Nüganen, Raivo Trass, Lembit Ulfsak Drammatico, durata 87 min. – Estonia 2014Inglese, – sub. Ita
La storia di una linea spazio-temporale tesa tra due fronti e una sola assurda carneficina
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Ivo e Margus provano a resistere sulla loro terra, ambita dai georgiani e difesa dagli abcasi. Ivo, esiliato estone, costruisce cassette per i mandarini di Margus, vicino di casa compatriota che sogna un ultimo raccolto prima di abbandonare il villaggio. Ivo invece non ha mai pensato di andarsene perché in quei luoghi ‘riposa’ il suo bene più prezioso. Vecchio e saggio Ivo è suo malgrado travolto dagli eventi. Uno scontro tra georgiani e mercenari ceceni, in cui sopravvivono soltanto due soldati, lo costringe a intervenire e a soccorrere nella propria casa e coi propri mezzi i feriti. Di parte avversa, i due ospiti provano a convivere sotto lo stesso tetto e sotto lo sguardo rigoroso di Ivo che converte il loro odio ottuso in un sentimento nobile e complesso.
“La guerra è sempre stupida”, scriveva Giuseppe Ungaretti ma ci sono guerre, “particolarmente stupide” come il conflitto georgiano-abcaso esploso all’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica. In quel teatro di guerra, ficcato tra le montagne e il Mar Nero, Zaza Urushadze cerca, scava e trova le parole (e le immagini) per dire dell’irragionevolezza delle contese e della fermezza di due uomini che scelgono di non disertare la loro terra e la loro vita. Selezionato come miglior film straniero agli Oscar e ai Golden Globe, Mandarini non è un film di guerra abitato da supereroi che cuciono punti di sutura al fronte, è piuttosto la storia di una breccia, di una linea spazio-temporale tesa tra due fronti e una sola assurda carneficina. Costretti dalle ferite in una zona franca, i due militari, uno georgiano e l’altro ceceno, diventano attori di un dramma più teatrale che cinematografico, che elude la prevedibilità con un paio di scarti narrativi e un cast di attori rari, capaci di muoversi tra sopraffazione e compassione. Su tutti il ‘padrone di casa’ di Lembit Ulfsak, che abita una sede pacifica di poesia e incarna l’onore e la necessità di comunanza nella sofferenza.
Venerdì 11 novembre 21.30
Indigènes
Un film di Rachid Bouchareb. Con Jamel Debbouze, Samy Naceri, Roschdy Zem, Sami Bouajila. Bernard Blancan Titolo originale Indigenes. Drammatico, durata 125 min. – Francia 2006.
Francese – sub. Ita
Soldati a tutti gli effetti ma senza diritti
Algeria, 1943. Al richiamo dell’arruolamento per liberare la “patria” francese dai tedeschi, risponde il giovane e povero Said (Jamel Debbouze, il buffo protagonista di Angel-A, bravissimo in questo personaggio orgogliosamente umile), che parte lasciando sola la madre addolorata. Insieme a lui, Abdelkader, Messaoud e Yassir e tanti altri “soldati indigeni” cui l’esercito riserva un trattamento diverso rispetto ai commilitoni francesi. Ai soldati africani non è concesso lo stesso rancio, né le licenze, le promozioni o i ruoli di comando che invece spettano ai francesi. Ma combattono come i loro compagni, muoiono come loro, soffrono come loro e alla fine con dignità e valore conquistano la stima e il rispetto del sergente del battaglione. Combattimenti sanguinosi: Italia, Provenza, Vosges, Alsazia, ricostruiti con un realismo semplice e espressivo, lontano dagli effetti hollywoodiani, si alternano alla vita da campo descritta attraverso i particolari legami psicologici e affettivi che si instaurano fra i soldati. Il regista francese-algerino Rachid Bouchareb racconta un episodio della Storia trascurato dalla memoria collettiva per parlare dei suoi antenati, per trasmettere la grande umanità di un popolo e di una nazione. E lo fa con il respiro ampio di un cinema di guerra classico, profondo e emozionante, privo di ogni retorica.
Venerdì 18 novembre 21.30
L’envahisseur
Un film di Nicolas Provost. Con Isaka Sawadogo, Stefania Rocca, Serge Riaboukine, John Flanders, Carole Weyers, CinSyla Key, Tibo Vandenborre. Dieudonné Kabongo, Noureddine Farihi, Isaka Sawadogo. Drammatico, durata 95 min. – Belgio 2011
Francese, sub. Ita
L’immigrato Amadou diviso tra bisogno di amore e desiderio di vendetta
Amadou è un immigrato clandestino africano che trova lavoro a Bruxelles in un’impresa edile. Chi lo sfrutta è africano come lui e lo costringe a vivere in un luogo degradato. Il giorno in cui scopre che un suo compagno di sventura è stato buttato fuori dal dormitorio perché ammalato, Amadou decide di ribellarsi sfasciando l’auto dello sfruttatore. Da quel momento diventa oggetto e soggetto di una caccia all’uomo che sembrerebbe trovare una tregua solo nel rapporto con una donna belga: Agnès.
Una donna giovane e bella, nuda su una spiaggia e inquadrata a partire dalla vagina. Questa è l’immagine di apertura del film che ricorda allo spettatore più avvertito il censuratissimo quadro di Gustave Courbet “L’origine del mondo”. Amadou ha fatto naufragio in prossimità di una spiaggia di nudisti e la donna che gli si avvicina è la prima immagine della nostra civiltà che si rivela al suo sguardo. Ci sarà un’altra donna nella storia, la manager Agnès, alla quale lui penserà di fare riferimento non comprendendo che non sarà possibile. Intanto però l’immigrato clandestino avrà attraversato una sorta di kubrickiana porta delle stelle oltre la quale troverà un mondo in cui a dettare le regole che prevedono il degrado dei sottoposti sarà qualcuno che ha la pelle del suo stesso colore. Nella prima parte Nicolas Provost (grazie alla collaborazione con il suo attore preferito Issaka Sawadogo) riesce a offrirci l’immagine di un uomo integro messo a confronto con una società che non ha niente della bellezza che gli si è presentata dinanzi su una spiaggia sconosciuta. Progressivamente però finisce con il precipitare in un mèlo alla cui tenuta non giovano anche alcuni vuoti di sceneggiatura (vedi la doppia visita all’abitazione del boss che inizialmente risultava ben protetta). Anche se lo sguardo della macchina da presa resta lucido è la storia che, suddividendosi tra vendette e richieste di amore, finisce con l’indebolirsi proprio quando vorrebbe ottenere l’effetto opposto
Venerdì 25 novembre 21.30
Loin des Hommes
Un film di David Oelhoffen. Con Viggo Mortensen, Reda Kateb, Djemel Barek, Vincent Martin, Nicolas Giraud. Jean-Jérome Esposito, Hatim Sadiki, Yann Goven, Antoine Régent, Sonia Amori, Antoine Laurent, Angela Molina Drammatico, durata 110 min. – Francia 2014 Francese, sub. Ita
Un western a tutti gli effetti, dalle riprese magnificenti alla presentazione di una realtà socio-culturale quasi inestricabile
Algeria, 1954. La rivolta contro i francesi sta prendendo sempre più corpo e Daru, insegnante di sangue misto franco-spagnolo nato nel Paese, insegna a leggere e scrivere ai bambini figli dei pastori di una località perduta tra i monti dell’Atlante. Gli viene consegnato un prigioniero algerino che ha ucciso un cugino. Il suo compito è scortarlo alla città più vicina perché venga giudicato e condannato a morte. Daru non intende eseguire la consegna.
È un racconto di Albert Camus che ben conosceva la situazione algerina ad ispirare questo film che per gran parte del tempo rispetta l’assunto. Daru e il suo prigioniero scelgono di stare lontani dagli uomini proprio per dare spazio ad un’umanità che la guerra, strada per strada e sentiero per sentiero, vorrebbe cancellare in nome del ‘dovere’. I due uomini imparano progressivamente a conoscersi in quello che il regista francese considera un western a tutti gli effetti. Gli va riconosciuto in materia il rispetto dei luoghi classici del genere che lo spettatore non faticherà a riconoscere.
Ciò che gli difetta nella prima parte è però la scelta dei tempi. Assistiamo cioè a una dilatazione di situazioni che vorrebbero divenire essenziali da un punto di vista della significazione ma talvolta mancano l’obiettivo. Ciò che resta invece impresso, oltre alla magnificenza delle riprese di un territorio tanto arido quanto visivamente efficace, è la presentazione di una realtà socio-culturale quasi inestricabile. I soldati algerini che hanno combattuto per l’esercito francese durante la seconda guerra mondiale ora gli si rivoltano contro ma sanno distinguere in Daru colui che per gli autoctoni è adesso considerato un francese mentre per i francesi è un algerino. Ciò che invece suona un po’ stonato alla sensibilità moderna (ma che probabilmente faceva parte del racconto di Camus) è quel tanto di paternalismo ‘alla francese’ che finisce con il dettare la strada al ‘povero’ prigioniero che viene liberato dal ‘maestro’ con tanto di viatico in chiave di declamazione religiosa.