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Via San Romano 1 Firenze
IL MESE DELLE MEMORIE “Genocidi e persecuzioni
Categories: CinemAnemico, eventi, General

in collaborazione con

Centro Documentazione Carlo Giuliani

Centro di Documentazione sui Popoli Minacciati 

Associazione IL CERCHIO 

 MESE DELLe memorie logo

IL MESE DELLE MEMORIE

“Genocidi e persecuzioni “

 

Musica,Immagini,Parole

Gennaio 2014 

 

Un mese per tutte le memorie 

 

Per molti anni, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il concetto di genocidio ha coinciso sostanzialmente con la Shoah.

Questo è accaduto per vari motivi. Due meritano comunque di essere evidenziati. Il primo consiste nell’aver proposto la Shoah come una tragedia unica e irripetibile, tanto che qualsiasi paragone con eventi analoghi somigliava a una bestemmia. Il secondo è un dato temporale: il concetto di genocidio fu elaborato da Raphael Lemkin durante il secondo conflitto mondiale. Era quindi inevitabile che venisse applicato alla tragedia in atto.

Poi, piano piano, il muro di silenzio dietro al quale si nascondevano tragedie analoghe ha cominciato a sgretolarsi. Si è cominciato a parlare del genocidio degli Armeni. Nello stesso tempo l’attualità ci ha dimostrato che certi orrori non erano soltanto un ricordo del passato, ma che potevano rivivere nell’attualità. Dalla Cambogia al Ruanda, dalla Bosnia al Darfur, l’ultimo quarto del secolo scorso e l’inizio di questo sono stati segnati da tragedie spaventose che i media hanno documentato in tempo reale.

Davanti a questo il genocidio è stato inquadrato in una prospettiva nuova.  Inserire la tragedia ebraica in un contesto più ampio, accanto ad altri genocidi più o meno recenti, non significa diminuirne il rilievo storico. Al contrario, significa toglierla da una terra di nessuno dove resterebbe un fenomeno incomprensibile. La nostra sofferenza ha un senso soltanto se viene avvicinata a quella degli altri. Diversamente si trasforma, piano piano ma inevitabilmente, in una manifestazione di egoismo.

Partendo da queste considerazioni abbiamo deciso di organizzare una rassegna cinematografica dedicata ai genocidi e alle persecuzioni. Non soltanto quelli legati alla Seconda Guerra Mondiale, ma anche quelli precedenti (la tragedia armena e lo sterminio degli Indiani nordamericani) e successivi (la persecuzione dei Rom nell’Europa centrale odierna). 

Nei prossimi anni ci occuperemo anche di altri popoli, perché la memoria è un diritto di tutti e non un privilegio di pochi. 

 

Venerdì 3 gennaio

21.15 Presentazione a cura di Alessandro Michelucci – giornalista 

21.30  Ararat 

Un film di Atom Egoyan. con Simon Abkarian, Charles Aznavour, Christopher Plummer, Arsinée Khanjian

Drammatico, Guerra, durata 115 min. – USA 2011

 

All’aeroporto di Toronto Raffi, un giovane canadese di origini armene, racconta a David, anziano ufficiale della dogana che gli sta ispezionando il bagaglio, i motivi del viaggio in Armenia da cui è appena tornato.

Entrambi i personaggi sono in qualche modo legati a un film che il regista Edward Saroyan sta girando sul genocidio armeno del 1915 per mano turca: Raffi lavora sul set e sua madre Ani, una nota critica d’arte, è consulente della sceneggiatura; David, oltre ad aver parlato con il regista al suo arrivo in Canada, ha un figlio omosessuale, Philip, legato sentimentalmente ad Ali, un attore turco che lavora nel film.

Raffi ha inoltre una situazione familiare estremamente problematica: suo padre è morto mentre attentava alla vita di un diplomatico turco; sua madre Ani si è poi risposata con un altro uomo, poi suicidatosi, che dal matrimonio precedente aveva avuto una figlia, Celia, di cui ora Raffi è innamorato.

Volendo conoscere che cosa ha spinto suo padre al tragico gesto che gli è costato la vita, Raffi va in Armenia per filmare i luoghi dei suoi antenati e viene a conoscenza del terribile genocidio operato dai Turchi contro gli armeni. 

 Venerdì 10 gennaio

21.15 Presentazione a cura dell’Associazione Il Cerchio 

21.30  Bury my heart at wounded knee 

Un film di Yves Simoneau, con Anna Paquin, Chevez Ezaneh, August Schellenberg

Drammatico, durata 133 min.- USA 2007

 

Little Big Horn (1876)-Wounded Knee (1890). Tra questi due momenti storici si sviluppa la vicenda che vede protagonisti tre personaggi realmente esistiti. Charles Eastman (un tempo Ohiyesa) è un giovane Sioux che è stato affidato alle cure dei bianchi americani divenendo medico. Toro Seduto è l’ultimo dei capi indiani a cedere alla supremazia dei bianchi finendo con l’entrare nel circo di Buffalo Bill per poi venire ucciso dai cavalleggeri. Il senatore Henry Dawes si adopera in favore dell’integrazione dei nativi americani ma le sue buone intenzioni finiscono con lo scontrarsi con l’avidità dell’establishment statunitense.

E’ su questi tre perni (con in più la figura, anch’essa storicamente esistita, di Elaine Goodale che divenne sposa di Eastman e ne abbracciò la causa di riscatto del proprio popolo) che si articola la narrazione. Perché Yves Simoneau non ripete il già detto e universalmente noto sulle vicende storiche che assestarono il colpo finale ai nativi americani ma indaga sulla complessità della situazione storica che si trova ad avere non troppo inattesi riferimenti al presente. Perché la sceneggiatura non dipinge i ‘pellerossa’ come una vittima sacrificale compattamente rivolta al martirio. L’arrendevolezza di Nuvola Rossa non coincide con il percorso di Toro Seduto che, pur di non cedere all’esercito confederato, cerca rifugio in Canada con la sua gente per venirne successivamente espulso. Così come il percorso di Ohiyesa, affidato da bambino all’educazione dei bianchi e divenuto simbolo di una possibile assimilazione dell’intera galassia nativa, è inizialmente distante da quello delle sue radici culturali. Ma è nel mondo dei bianchi che prevalgono le più forti contraddizioni. Non tanto nell’area militare dove la logica prevalente è quella della reiterazione dei soprusi (voi Sioux avete invaso i territori di altre tribù ora noi invadiamo ciò che voi avete un tempo strappato ad altri) quanto piuttosto in quella politica. Il senatore Dawes è convinto in buona fede che solo l’accettazione da parte dei nativi della cultura e della civiltà dei ‘bianchi’ possa dare luogo a una vera integrazione. Lotta contro i tentativi di espropriazione totale dei territori ottenendo forme di risarcimento che Toro Seduto rifiuta perché diverrebbero accettazione dello status quo, cioè conferma della perdita di proprietà e di dignità. Nello sguardo che rivolge al figlio che esibisce la ‘libertà’ di poter cacciare uno stanco bovino all’interno di un recinto si concentra il messaggio di un film che sfugge con abilità alla retorica da qualsiasi parte provenga.

 

Sabato 11 gennaio  

21.15 Presentazione a cura dell’Associazione Il Cerchio

21.30   Birdwatchers 

Un film di Marco Bechis. con Claudio Santamaria, Alicélia Batista Cabreira, Chiara Caselli

Drammatico durata 104 min. – Italia, Brasile 2008

 

2008, Mato Grosso do Sul (Brasile). Le attività economiche della zona sono legate allo sfruttamento in coltivazioni transgeniche dei terreni che in passato appartenevano agli indios e nelle visite guidate a turisti interessati al birdwatching. Lo status quo viene bruscamente interrotto quando Nádio, la guida ascoltata di una comunità indio decide di non poter sopportare lo stillicidio di suicidi di giovani senza più speranza. Inizia così una ribellione pacifica finalizzata a ottenere una restituzione delle terre indebitamente confiscate. Accanto a lui ci sono suo figlio e il giovane apprendista sciamano Osvaldo. I fazenderos inizialmente reagiscono cercando di frenare le spinte più estremiste del loro campo ma comunque ben decisi a non cedere neppure un ettaro di terra agli indios.

I Guarani Kaiowá sono un popolo indio che fin dal ‘600 (ricordate Mission?) hanno subito persecuzioni per non aver accettato l’opera di evangelizzazione dei gesuiti. Ancora oggi, nel Brasile di Lula, la loro sorte è quella di sopravvivere nel degrado delle riserve senza alcuna speranza nel futuro. Così come nelle riserve vivono gli splendidi neoattori di questo film che Bechis ha realizzato con la consueta passione civile unita a una grande lucidità intellettuale.

Il futuro che rischia di trasformarsi per molti giovani in un corpo che penzola da un cappio appeso a un albero sta all’origine di una vicenda che ha nella prima sequenza la sua chiave di lettura. Dei birdwatchers percorrono un fiume su una barca a motore quando, all’improvviso, su una riva compaiono degli indios con archi e frecce. Una volta che i turisti si sono allontanati quegli stessi indios…(Non è bene togliere la sorpresa su quanto accade ma chi vedrà il film potrà comprendere quanto il senso che deriva dal prosieguo dell’azione offra al film una marca molto forte). Bechis osserva sia i fazenderos che gli indios quasi come se fosse a sua volta un birdwatcher, cioè qualcuno che guarda da lontano. L’intento è evidentemente quello di non voler forzare la mano sul piano di una facile adesione emotiva richiedendo allo spettatore un più complesso lavoro di adesione alla lotta contro un’ingiustizia che si perpetua da secoli.

La terra degli uomini rossi diventa così un film di forte denuncia morale e politica senza assumere mai la dimensione del pamphlet. Proprio in questo procedere, che permette alla ragione di prevalere sulla passione, sta la forza di un film che Bechis ha saputo costruire ‘ascoltando’ nel senso più pieno del termine coloro che ogni giorno vivono l’umiliazione di non possedere più una terra che per loro non significa solo cibo ma anche (e soprattutto) radici e cultura.

 

Venerdì 17 gennaio

21.30  Just the wind 

(Csak a szél)

Un film di Benedek Fliegauf con Lajos Sárkány, Katalin Toldi, Gyöngyi Lendvai

Drammatico durata 86 min. – Ungheria, Germania, Francia 2012

 

Una famiglia in pericolo, una baracca fatiscente nei boschi, e la sensazione costante che stia per accadere qualcosa di terribile, questi sono gli elementi fondamentali sui quali si sviluppa Just the Wind, il bel dramma di Benedek Fliegauf presentato in concorso al 62esimo Festival di Berlino. La famiglia in questione tuttavia, non è una come tante, ma è una famiglia di rom che si ritrova a vivere con angoscia e senso di impotenza l’odio cieco nei confronti della loro comunità, che ha portato all’uccisione di cinque famiglie che vivevano nella zona.

Mari si divide tra due lavori e la cura del padre anziano, mentre sua figlia Anna va a scuola e coltiva il suo talento per il disegno. Il piccolo Rio invece non ha ancora trovato qualcosa a cui dedicarsi, ma più di tutti è quello che sente la necessità di dover cercare un rifugio “segreto” per sfuggire a qualcosa che potrebbe accadere mentre suo padre è lontano, e non può aiutarli. Mentre l’urgenza di trasferirsi in Canada, dove vive il marito di Mari, si fa sempre più forte, la famiglia è costretta a rimanere in un luogo così ostile, cercando di andare avanti e muovendosi con la massima cautela.

 

Sabato 18 gennaio

21.30  Note Noir Trio 

Musiche zingare d’europa

 

Venerdì 24 gennaio

21.30   Il pane della memoria

Un film di Luigi M. Faccini con Elena Servi

Documentario, durata 62 min. – Italia 2008

 

Prodotto da Marina Piperno per Ippogrifo Liguria. “Quanto ha viaggiato la mia gente. E non per svago” dice Elena Servi di Pitigliano (GR) di cui questo bellissimo documentario è anzitutto il ritratto. È lei, col suo volto di vecchia signora degna, il dolce sorriso, la limpida voce toscana, la capacità di narrare, la lucidità di analisi, che fa da guida alle immagini, al suono, alla regia di Faccini. Senza mai mettersi in cattedra, è una lezione che passa in rassegna con semplicità e concretezza la storia degli ebrei italiani, la loro identità, la cultura, la religiosità, la capacità di adattamento, gli usi e i riti, la nascita d’Israele, la funzione dei kibbutz, la differenza tra le generazioni, le paure, la continua lotta per la sopravvivenza, gli errori dei governi, i diritti dei palestinesi. La verità è concreta, diceva Brecht. È un film concreto dove si parla spesso di cibo, e non soltanto di pane della memoria: i bagni rituali, il forno delle azzime, il rosso delle melograne, la caverna della macellazione, la bellezza di Pitigliano. Montaggio: Sara Bonatti. Musiche: Riccardo Joshua Moretti. Alla fine Elena dice, con un filo di orgoglio malizioso: “Ci sarà tanta gente ai miei funerali”. E le si crede.

 

Sabato 25 gennaio

21.30 Angela Batoni Trio

musica e canti tradizionali

 

Domenica 26 gennaio

17.00  Letture e testimonianze 

 20.00  Cena Rom e Kosher

21.30 La Banda dei Tubi innocenti

 Balkan, Gipsy & spaghetti Klezmer Orkestra

 

Venerdì 31 gennaio

21.30   Screamers 

Un film di Carla Garapedian con Hrant Dink, John Dolmayan, Sibel Edmonds, Daron Malakian, Shavo Odadjian, Serj Tankian  

Documentario, musical durata 89 min. – Regno Unito, 2006

 

Il documentario, realizzato dall’attivista umanitaria Carla Garapedian, si occupa di illustrare tutti i genocidi commessi nel corso del Novecento, e vuole indurre il pubblico a porsi le grandi domande sul tema.

La cronaca del documentario è stata realizzata dal gruppo musicale alternative metal System of a Down, da sempre interessati al riconoscimento da parte della Turchia del genocidio armeno (1915), in quanto di etnia armena.

In una loro dichiarazione hanno affermato:

« Ci siamo sentiti obbligati a lavorare a questo progetto unico che mostra come la negazione di questi crimini abbia portato a genocidi di più vaste dimensioni nel XX secolo, dall’Olocausto alla Cambogia, Bosnia, Rwanda, fino al presente Darfur »

Anche i sottofondi musicali del documentario sono brani realizzati nel corso della loro carriera musicale.

Il nonno di Serj Tankian ha contribuito alla produzione del documentario, in quanto sopravvissuto alla strage armena.

 

Sabato 1 febbraio

21.30   Noi ricordiamo, saggio di una fine e di un inizio

Un Documentario di Daniele Giuliani, con Andrea Braccini, Annamaria Asmodei, Antonella Mattina, Bianca Pananti, Edera Alderighi, Giuseppe Barocchi, Guido Leoni, Marco Bucciardini, Maria Serena Daconto, Maria Teresa Nobile, Mario Giannini, Martina Fino, Michele Ceri, Sara Ciriello, Stefania Pecchioli.

 

Tre anni fa iniziava il laboratorio di teatro sulla memoria di “ControAttaccoTeatro” che ha portato, attraverso vari passaggi di studio, alla creazione dello spettacolo “Noi Ricordiamo. Saggio di una fine e di un inizio”. Si è trattato di un percorso intenso che ci ha dato la possibilità di soffermarci per tre anni su un tema: la memoria individuale e sociale.

Oltre alle riprese dello spettacolo, il documentario entra nel vivo di quello che è stato il percorso fatto all’interno del laboratorio di teatro con interviste a tutti i partecipanti. Narrando di come il teatro possa essere uno strumento per ricercare nella memoria sociale. La nuova creazione di “ControAttaccoTeatro” è realizzata grazie al contributo della Coop Arca e dell’Azienda Sanitaria 10 Firenze, l’idea del nuovo progetto e la regia sono di Daniele Giuliani.

 

 

A seguire   Poesie di Guido Leoni e

accompagnamento musicale di Antonio e Paolo (Gruppo Bostic)

Nei prossimi anni ci occuperemo anche di altri popoli, perché la memoria è un diritto di tutti e non un privilegio di pochi. 

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