cdpsettignano
Via San Romano 1 Firenze
CINEMANEMICO 2012-NAZAR BONCUK
Categories: General

CASA DEL POPOLO DI SETTIGNANO

                                                                        VIA SAN ROMANO 1 FIRENZE

 

RASSEGNA DI CINEMA POCO VISIBILE……….

Apericinema       20.00

             Proiezionefilm     21.30

Nazar boncuk

( un occhio sul cinema turco )

 

 

 

Venerdì 16 MARZO 21.30

MUTLULUK

 (turco- subtitle italiano)

 

Un film di Abdullah Oguz

con  Özgü Namal,  Talat Bulut, Murat Han, Mustafa Avkiran  Turchia, 2007

Vincitore del Salento International Film Festival 2008 con questa motivazione: “Per la freschezza narrativa, l’estrema importanza dell’argomento, urgente per un Paese come la Turchia, immerso a metà in tradizioni arcaiche e a metà in un’ autentica pulsione al rinnovamento e alla modernità”. La narrazione è dosata bene seguendo i nodi della trama, gli aspetti caratterizzanti dei personaggi e delle realtà raccontate sono ben visibili; raffinata la ricerca della gestualità e delle riprese simboliche dei momenti più drammatici, come quella dall’alto con cui inizia il film, che scende poi lentamente in un vortice sulla ragazza appena stuprata, a dare subito il senso dell’angoscia e del dramma vissuto.

 

Venerdì 23 MARZO 21.30

SONBAHAR

(turco- subtitle italiano)

Un film di

Özcan Alper

con Onur Saylak, Megi Kobaladze, Serkan Keskin, Raife Yenigül,Nino Lejava,Sibel Öz,

Cihan Camkerte, Serhan Pirpir, Yasar Güven

Drammatico, durata 99 min.

Germania, Turchia, 2008

Il ritorno, per caricarsi di un afflato letterario, deve partecipare al dolore della perdita, del rimpianto, del rimorso. Deve portarci a rivedere, per l’ultima volta, qualcosa che sta per scomparire, o  farci percepire la fredda scia di vento lasciata da qualcosa che se ne è appena andato. Il rientro solitario, verso un’intimità isolata e remota, fa pensare al Sokurov di Madre e figlio, in cui i due protagonisti si aggrappano disperatamente l’uno all’altro, in mezzo ad un vuoto sterminato, e accanto all’incombente presenza della morte. Per Yusuf, che, dopo dieci anni trascorsi in carcere, riabbraccia l’anziana madre nella sua casa sperduta tra le montagne della Turchia, la ritrovata libertà è solo la triste occasione di prendere congedo dal mondo: Yusuf è infatti gravemente malato, ed è ormai senza speranza.  Suo padre non c’è più, e nemmeno la sua fidanzata di allora, che nel frattempo si è sposata. Gli amici sono invecchiati, in parte abbrutiti dalla rassegnazione ad una vita che non ha mantenuto le promesse della gioventù. Gli ideali che avevano portato Yusuf, studente di matematica, a manifestare per le strade, si sono spenti per sempre, soffocati dalla repressione politica, e dall’immobilità di un contesto sociale in cui tutto langue in un’inutile attesa di riscatto. In questa situazione di stallo, sforzarsi di vivere significa accontentarsi delle briciole, cercare di strappare con le unghie, ad un’esistenza avara, e consumata dalla storia, quel poco che rimane da prendere. La lotta di Yusuf prosegue entro i ristretti confini del suo microcosmo familiare, nel breve, residuo intervallo di tempo che ancora gli è concesso; ed è una sfida a godere quanto più possibile, a procurarsi tutte le gioie che la prigionia gli ha negato: l’amore di una donna, l’affetto di una madre, la pace della campagna, la bellezza della natura. Poco importa se la donna è una prostituta, la madre è ormai priva di forze, la campagna è avvolta nelle nebbie dell’autunno (sonbahar), e la natura si sta addormentando sotto le prime nevicate. C’è ancora uno scampolo di luce e di aria da poter assaporare, e quello che per gli altri è solo un disprezzabile accomodamento, per Yusuf ha l’inestimabile valore delle cose ultime, delle conquiste estreme, dei sogni realizzati contro ogni ragionevolezza.  L’uomo si sente comunque vittorioso di fronte ad un destino che lo sta travolgendo, perché forte del romantico orgoglio di non essersi mai arreso. Yusuf sta fermo in piedi sul molo, mentre le onde di un mare in tempesta lo sovrastano minacciose: non si scosta, e si lascia invece trascinare da quel sinistro incanto, fiero di guardare in faccia quel nemico tanto più potente di lui. La pittura di Caspar David Friedrich, con i suoi scenari fatti di grandi spazi ed imponenti elementi naturali, in mezzo a cui si aggirano, smarrite, piccole figure umane, ritorna in questo film, come già nel capolavoro di Sokurov; ritorna a portare quella spettacolarità crepuscolare in cui la meraviglia è adombrata dalla paura; e ad ispirare un compassionevole, eppure nobilissimo, ritratto della nostra condizione di esseri condannati a soffrire, e a chiedersi incessantemente perché

 

Venerdì 30 MARZO 21.30

BES VAKIT

(turco- subtitle italiano)

Un film diReha Erdem

con Özkan Özen, Ali Bey Kayali,

Elit Iscan, Bülent Emin Yarar, Taner Birsel

Drammatico durata 110 min.Turchia, 2006

 

 

 

Beş vakit in italiano significa “cinque volte”. Secondo l’Islam un musulmano deve eseguire le preghiere rituali (salāt) cinque volte al giorno: al mattino; a mezzogiorno; a metà pomeriggio; al tramonto; un’ora e mezza dopo il tramonto.E difatti il film è suddiviso in cinque capitoletti che scandiscono il momento della preghiera. Tali capitoli però vengono presentati anticiclicamente: si parte dalla notte con un fantastico Campo Lunghissimo notturno del paesino sovrastato dalla luna, e si conclude con una panoramica dell’orizzonte albeggiante. In questo salto mortale all’indietro che inciampa in avanti ci vengono presentate le vite bucoliche di un grumo d’abitazioni sparse fra il mare ed i monti. Ruvidi ritratti agresti di genitori che trattano i figli come bestie, e le bestie come figli. Sospese nel tempo (e nel vento) queste famiglie vivono, o forse non-vivono, la loro esistenza che si ripete inesorabile: il terreno da coltivare, la nascita di un vitello, la costruzione di un muro. I bambini sono gli unici esseri che ancora non riescono a capire, o magari capiscono tutto: uno vuole uccidere ad ogni costo il padre Imam: gli svuota le pillole, apre la finestra di notte per far entrare aria fredda, fantastica di lanciarlo giù da una roccia. Un altro è innamorato della maestra al punto di non lavarsi più il dito sporco del sangue della donna. La bellezza estetica di Beş Vakit è sconvolgente. Ogni singola inquadratura è di una profondità difficile da riscontrare in altre pellicole. Sia che la mdp riprenda di spalle i bambini vaganti nelle viuzze pietrose, o che immortali tramonti infuocati, il film non perde la sua cifra poetica che ha un valore aggiunto nella semplicità con cui cattura le cose: il bambino in ombra rannicchiato dentro sé che attende il sole sorgere è di una delicatezza senza pari. Purtroppo il difetto principe è che a cotanta bellezza visiva non corrisponde un racconto adeguato. Manca l’elemento imprescindibile della solida narrazione poiché le varie storie sono estremamente fragili, non incidono nello spettatore, sopratutto nella prima ora dove accade ben poco. Senza un impianto estetico di questo calibro il film sarebbe debole, ma per fortuna c’è..

Venerdì 6 APRILE 21.30

HAYAT VAR

(turco- subtitle italiano)

 

Un film di

Reha Erdem

Con Önder K. Açikbas, Erdal Besikçioglu, Halim Ercan

Drammatico durata 121 min.

Bulgaria, Grecia, Turchia, 2008

 

 

La Turchia è una nazione dalle diverse anime. Ciò rappresenta sicuramente il suo aspetto più intrigante, ma al contempo costituisce per essa ancora un difficile ostacolo da superare. A cavallo tra Europa ed Oriente, crogiuolo di culture e religioni, divisa tra gli estremi di povertà e ricchezza, il paese turco paga la sua policroma natura soprattutto da un punto di vista politico. Questa spaccatura è resa perfettamente in Hayat Var – My Only Sunshine: da un punto di vista visivo essa è raffigurata sullo schermo dalla continua presentazione della città di Istanbul, dove è ambientato il racconto, in cui la lingua di mare che la attraversa separa nettamente la zona ricca e moderna da quella periferica in cui abitano famiglie meno abbienti; narrativamente, è invece racchiusa nel carattere introverso di Hayat, tredicenne figlia di un pescatore con a carico il nonno malato, che cerca dentro se stessa la forza per scappare dalle difficoltà e dai pregiudizi della società in cui vive. Hayat è una figura solitaria e silenziosa; soffre di asma, come il nonno di cui si occupa a casa, ed è costretta a vivere un’astiosa situazione famigliare causata dalle stranezze dei due genitori divorziati. Il regista Reha Erdem cerca di mettere in evidenza soprattutto la mancanza di affetto che sente la ragazza. Non accettata dai compagni classe, snobbata dalla madre che ripone le attenzioni solamente sul bebè nato da una sua nuova relazione, quasi schiavizzata dal nonno, a volte dimenticata dal padre, Hayat trova affetto solo in se stessa e nel peluche elettronico che canta in continuazione il ritornello “You’re my sunshine, my only Sunshine” – da qui il sottotitolo del film. E’ evidente che la giovane sogni un futuro migliore, pieno di amore e di riscatto sociale: viene infatti spesso ritratta mentre guarda, con occhio pieno di tristezza e di speranza, il luminoso skyline di grattacieli dell’altra sponda della città e le coppie di innamorati che si baciano per strada. Alla fine, in una conclusione alquanto retorica ma catartica ed efficace, questo riscatto proverà almeno a raggiungerlo tagliando completamente i ponti con il suo passato..

 

Venerdì 13 APRILE 21.30

BAL

(turco- subtitle italiano)

Un film di Semih Kaplanoglu

con Erdal Besikçioglu, Tülin Özen,

Alev Uçarer Drammatico, durata 103 min.  Turchia, Germania, 2010

 

 

Il cinema di Semih Kaplanoglu non appartiene alla categoria di quelli destinati ad attrarre il grande pubblico. Il regista turco procede, sostenuto dal consenso ottenuto in importanti festival internazionali, nel suo percorso autoriale con il terzo capitolo della storia del suo protagonista Yusuf. Dopo averlo presentato nel suo periodo di studi universitari in Milk e seguito in quello dell’età adulta in Egg ora il regista ce ne presenta l’infanzia. Il miele del titolo è quello delle api che costituiscono l’elemento che consente la vita della famiglia ma diverranno anche l’occasione della sua disgrazia. Il film procede con grande lentezza facendoci percepire il tempo dilatato che avvolge la vita del bambino modificato solo dalla vita scolastica alla quale però partecipa con fatica e dolore senza inserirsi nei giochi dei compagni. Va quindi rispettato il lavoro di ricerca che il regista compie su aspetti di vita appartati della realtà sociale turca. Resta però il dubbio di un eccesso di compiacimento nei confronti di un estetismo che in più di un’inquadratura prolungata finisce con il risultare fine a se stesso indebolendo così la tenuta complessiva di un film che ha nella straordinaria bravura del piccolo protagonista un elemento di indubbia forza

 

 

 

 

 

 

 

INGRESSO LIBERO SOCI ARCI

www.cinemanemico.net

cinemanemico@yahoo.com

 

CASA DEL POPOLO DI SETTIGNANO

                                                                        VIA SAN ROMANO 1 FIRENZE

 

RASSEGNA DI CINEMA POCO VISIBILE……….

Apericinema       20.00

             Proiezionefilm     21.30

Nazar boncuk

( un occhio sul cinema turco )

 

Venerdì 20 APRILE 21.30

SUT

(turco- subtitle italiano)

Un film diSemih Kaplanoglu

con Melih Selcuk, Basak Koklukaya

Drammatico, durata 102 min.

Turchia, Francia, Germania, 2008

La vita che non vuole crescere, in un film che è esso stesso molto, troppo acerbo. L’esistenza del ventenne Yusuf e di sua madre si nutre ancora di latte: di quello prodotto dalle loro mucche, trasformato in formaggio e venduto su una bancarella del mercato, oppure imbottigliato in casa e distribuito porta a porta. Il ragazzo è un aspirante poeta pieno di inutili illusioni, che sarà riformato dal servizio militare perché epilettico; la donna è un personaggio evidentemente debole, che smette di provvedere ai bisogni del figlio nel momento in cui intraprende una relazione col capostazione. In questa storia, come negli scenari circostanti, c’è tutto lo squallore della provincia turca, tra disoccupazione, solitudine e dissesto urbano. Ma c’è anche un maldestro eccesso di silenzio ed un inopportuno uso di effetti simbolici, che sono la palese manifestazione di un’ambizione non adeguatamente supportata dalle necessarie capacità tecniche. A lungo andare, davvero stanca questa incessante ricerca di rarefatta autorialità, che finisce, purtroppo, per tradursi in una pretenziosa versione della noia, con qualche involontaria incursione nel kitsch. La reticenza è una posa innaturale, e le metafore sono come corpi estranei appiccicati a viva forza su una superficie impermeabile a qualsiasi suggestione. Il tutto appare intriso di una mediocrità che è certo nella sostanza dei fatti rappresentati, ma alla quale la regia resta completamente, e colpevolmente, supina. Lo sguardo dello spettatore rimane disorientato dalla mancanza di punti di appoggio, in un approccio all’immagine cinematografica che appare privo di qualunque preoccupazione di carattere estetico o espressivo. A ciò si aggiunge un leggero imbarazzo nel non riuscire a distinguere quanta parte di quello sfacelo sia imputabile ai personaggi che non sanno vivere, e quanta all’autore che non sa farli esistere. Süt inizia con un goffo tentativo di imitazione della nouvelle vague, per poi azzardare una serie di temerarie allusioni alle atmosfere di Michelangelo Antonioni e di Aleksandr Sokurov. Le intenzioni sono buone, la trama e la sceneggiatura lo sono un po’ meno, mentre la messa in scena galoppa, spavalda, e incurante di tutto, attraverso il terreno minato dell’Arte.

Venerdì 27 APRILE 21.30

YUMURTA

(turco- subtitle italiano)

Un film di Semih Kaplanoglu.

ConNejat Isler, Saadet Aksoy,

Ufuk Bayraktar, Tülin Özen

Drammatico, durata 97 min.  Turchia, Grecia 2007.

 

Denso di simboli nella sua nuda semplicità, primo film di una trilogia (seguiranno Sut, Latte, e Bal, Miele, quest’ultimo Orso d’Oro a Berlino 2010, pressochè introvabile e ignorato dalla distribuzione) opera di un regista che gira come un poeta minimalista, suggerisce, raccoglie sguardi, sorrisi fugaci e silenzi per dire di un amore che può nascere, di un dolore che può non finire, di un mondo che forse ancora esiste nella campagna turca, dove si vive in semplici case povere ma tutti ti conoscono e ti fanno festa se torni, dove si va ad uccidere un ariete come rito propiziatorio, anche se non si sa bene perché, dove i morti diventano piantine sul davanzale di casa e ogni nome scomparso diventa un fiore con cui parlare, e la mattina si guarda nel pollaio se c’è l’uovo, e il bambino che bagna la tomba della madre morta di Yusuf con la tanica d’acqua e poi tende le mani come fanno i musulmani in Moschea, non voleva quella moneta, voleva solo pregare, così alla fine del film la riconsegna a Yusuf. Yusuf ha tanto da imparare da questo mondo che ha lasciato per correre in città e dimenticato, la madre lo ha aspettato e con lei Ayla, viso pulito, bello, vestitini paesani, si è presa cura della vecchia ed è vissuta con lei per anni (tutto a suo favore il contrasto con la prosperosa ragazza new age, addobbata per la serata di festa, che nella seconda scena entra nel negozio di libri usati di Yusuf in città a cercar ricette, mentre sullo stereo va un Debussy per cello e piano molto ma molto triste). Sembra che sia stato soprattutto Herzog a volere che Bal vincesse a Berlino. E allora possiamo fidarci. Da Yumurta Semih Kaplanoglu fa dunque partire un viaggio di rinascita, risalita alle fonti originarie che in Bal approda all’infanzia, lì dove è rimasto impigliato quel senso della vita di cui a volte si perdono i fili. Spesso nel film Yusuf dorme, a volte parla brevemente dei suoi sogni, un’altra volta crolla inspiegabilmente a terra privo di sensi, e nell’ultimo sogno, di notte, bloccato in piena campagna da un cane enorme, ringhiante, che lo piantona e non lo fa partire per tornare in città, piange e poi si sveglia al suono dei campanacci di un gregge che si allontana. E’ come se solo attraverso la perdita momentanea di sé Yusuf possa recuperare uno sguardo depurato sul mondo e sentire le vibrazioni che la vita gli manda. E’ un poeta, una locandina ci racconta le sue illusioni e il tempo deludente che è trascorso da allora, le troppe sigarette che fuma dicono altro e un vecchio amore ritrovato in paese non emana più la magia di una volta. Ayla è lì, gli offre quel té nei bicchierini di vetro di cui in Turchia vanno matti, gli dà le sue pantofole troppo corte e gli parla di mamma Zehra, che lui non ha più visto e che ritrova sul letto, coperta da un lenzuolo che non solleva, non avrebbe senso farlo ora che è cadavere. La vecchia donna appare in apertura, sola, cammina sul viottolo di campagna uscendo dalla foschia e viene verso di noi, fino ad un primo piano, poi prosegue di schiena e sparisce. Sarà una presenza incorporea per tutto il film, fino a quando Yusuf, determinato ad andarsene dopo il funerale e ogni volta trattenuto da fili invisibili, tornerà a sedersi al tavolo di quella povera cucina e Ayla, rientrando, gli darà l’uovo che ha appena raccolto. Un sorriso appena accennato, si riconoscono. Non serve parlare, i cucchiaini tintinnano nei bicchierini del tè mentre continuano a far colazione. Un tuono, arriva un temporale, ma è fuori, dentro c’è caldo. Nei titoli di coda si ringrazia Nuri Bilge Ceylan, maestro del cinema turco da cui Yumurta surroga alcuni stilemi, pause di silenzio, movimenti di macchina ridotti al minimo, le immagini e i gesti che raccontano più delle parole. La visione del mondo è però diversa da Ceylan, gli universi privati possono incontrarsi, nella semplice bellezza del nulla.

Venerdì 4 MAGGIO 21.30

KOSMOS

(turco- subtitle italiano)

Un film diReha Erdem

con Saygin Soysal, Türkü Turan, Serkan Keskin, Sermet Yesil,Nadir Saribacak, Murat Deniz, Cüneyt Yalaz,

Suat Oktay Senocak,Akin Anli,Hakan Altuntas

Drammaticodurata 110 min.Turchia, 2009

Reha Erdem, uno dei più versatili filmmaker turchi, torna dopo My Only Sunshine con una storia ancora più impegnativa e d’effetto: Kosmos, incentrata su un vagabondo, ladro e sciamano, tre personalità raccolte sotto lo stesso nome, presentata al Sarajevo Film Festival. Il film inizia con una lunga sequenza su un panorama innevato e una figura solitaria che avanza e nello stesso tempo si allontana dallo spettatore. È Kosmos (un eccezionale Sermet Yesil, che aveva debuttato in A Run for Money di Erdem nel 1999), che arriva in una cittadina turca al confine con la Russia, a giudicare dall’architettura (il film è stato girato nel Kars). Mentre si avvicina ad un fiume sente le urla di una giovane donna (la bella e affascinante Turku Turan, al suo debutto). Il fratellino è stato trascinato via dalla corrente e Kosmos lo salva e lo risveglia, scuotendolo fra le braccia e ululando nell’aria glaciale. La notizia del miracolo arriva fino in città, e Kosmos viene acclamato come salvatore. L’uomo è però uno strano personaggio che parla con afflato zen della vita e dell’universo, ma nessuno lo capisce. A Kosmos non interessa, comunica con la sorella del ragazzino attraverso una sorta di ululato canino. Si innamora, e le loro conversazioni-latrato sono insieme fastidiose e stranamente emozionanti. Quando non guarisce i malati, tutti piuttosto strani e a loro modo illustri, Kosmos gira la città rubando denaro dai negozi, anche se in realtà non ne fa uso. Ma c’è sempre qualcuno che quel denaro, invece, lo usa, sia che Kosmos lo doni spontaneamente sia che gli venga rubato. L’uomo riesce anche a sfidare la gravità, perché, dice “La gravità è l’amore nei nostri cuori”. L’aspetto tecnico più interessante del film è il sound design, per il quale Erdem ha conquistato il Premio Speciale della Giuria ad Antalya, insieme a quello alla Miglior Fotografia, Miglior Regista e Film. La storia si svolge oggi, come dimostrano le pubblicità di Visa e Master Card sulle porte dei negozi, ma da lontano risuonano cannoni, missili e mitragliatrici. La città è sotto una sorta di assedio, controllata dall’esercito. Ma poiché nessun conflitto avviene oggi ai confini turchi, e da ormai parecchi anni, è possibile pensare che la storia sia ambientata in una sorta di luogo metafisico oltre lo spazio e il tempo. L’ambientazione sembra fatta apposta per dare a Kosmos un luogo in cui esistere. Con elementi di Gesù, Robin Hood e Yoda, il personaggio è il più singolare, originale e interessante apparso sugli schermi negli ultimi anni. E nella costruzione di un’atmosfera incantata, bizzarra, cupa ma ottimista insieme intorno all’uomo, Erdem si pone come l’autore più autentico del cinema moderno turco. Forse troppo autentico, a giudicare dall’assenza di riconoscimenti festivalieri per questo straordinario e sconcertante capolavoro

VENERDÌ 11 MAGGIO 21.30

UZAK IHTIMAL

(turco- subtitle italiano)

Un film di Mahmut Fazil Coskun

con Nadir Saribacak, Ersan Unsal, Görkem Yeltan

Drammatico, durata 90 min.  Turchia, 2009

“Uzak ihtimal” è la storia di un amore impossibile, impedito più che dalla differenza religiosa tra i due, dall’incomunicabilità e dalla vocazione monastica di Clara, ragazza eterea che sembra non provare sentimenti, se non quelli suscitati dall’amore nei confronti di Dio. Ma è anche una commedia che prende con ironia le diversità, senza porre troppo l’accento su questo aspetto. Infatti i momenti topici sono appunto quelli in cui si sorride per le incomprensioni fra i due, e fra Musa e Yakup, i quali hanno entrambi qualcosa da dichiarare alla novella Madonna. Qualche perplessità desta lo stentato approfondimento psicologico della donna, che alla lunga risulta essere ripetitiva nel suo silenzio e nella sua freddezza, tant’è vero che non si evincono i reali motivi per cui l’amore tra i due non possa concretizzarsi (forse, sbilanciandosi, si può interpretare una sottile critica alla castità monastica cristiana). Nel complesso una godibile commedia sentimentale, senza infamia e senza (troppa) lode, formalmente ineccepibile, in cui spicca la capacità del regista di rendere e sottolineare alcuni aspetti anche nel silenzio, facendo affidamento alla capacità attoriale e mimica del buon Nadir Saribacak (Musa).

VENERDÌ 18 MAGGIO 21.30

AV MEVSIMI

(turco- subtitle italiano)

Yavuz Turgul

con Sener Sen, Cem Yilmaz,

Çetin Tekindor, Melisa Sözen, Okan Yalabik,

Riza Kocaoglu, Nergis Çorakçi,

Drammatico, durata 140 min. Turchia, 2010

La musica di Tamer Çiray parte sommessa, un accordo di piano, un violino entra sui toni gravi, la macchina si spinge avanti nell’acquitrino, passa tra alberi e rottami incagliati nella vegetazione, una cortina di vapore ristagna a pelo d’acqua. Il ritmo si fa più veloce mentre la musica cresce, diventa concitata, nell’acqua si riflette un cielo abbagliante, la luce è acciaio fuso col verde cupo della foresta, il colore dominante è l’azzurro/argento, ghiaccio che si macchia di rosso sul titolo che esplode improvviso, Av mevsimi (Stagione di caccia), mentre spunta dal fango una mano contratta nel rigor mortis.

Potrebbe anche essere di un uomo, abbrutita com’è dall’acqua, ma reca tracce di smalto.

Gli esami diranno il resto, è la mano di Pamuk, ragazzina di 16 anni, il suo nome, “cotone”, la sua morbidezza, la giovinezza, nulla che abbia suscitato pietà, brani di vita riemergono, comporranno un mosaico di ordinaria follia, Pamuk sarà solo quella mano e quella voce, una breve sequenza finale un po’ didascalica in cui compare era meglio tagliarla.

Il cammino alla scoperta dell’omicida è sui generis, come tutto, in questo film del turco Yavuz Turgul, sceneggiatore e regista, un thriller anomalo, con suggestioni fantascientifiche mescolate a scenari iperrealistici al confine col western, è un territorio di frontiera e di caccia, lo scenario è metropolitano ma  sembra che Wild West and Congress of Rough Riders of the World sia passato anche di là, la legge del clan, puzza e sporco da saloon, a volte, caccia all’uomo senza legge.Il tutto è tenuto insieme da una figura di detective, Ferman (Sener Sen), più vicino a Maigret che ad un dipendente del Los Angeles Police Department,  è il Cacciatore (suo soprannome), quel che conta per lui è la prospettiva, come a caccia, punti la preda solo dal tuo punto di vista, e invece c’è anche il suo, e ti sfugge se non ne tieni conto. Nulla va detto ancora che tolga suspence e sorpresa a questo film, notevole, suggestivo, inaspettato, da guardare nelle sue numerose stratificazioni, in quello che suggerisce più ancora che in quello che dice

 

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